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       IL 
      PROFILO COGNITIVO DELLE PERSONE AUTISTICHE 
      Mona A, 1999 
       |   
   
sommario: - La 
correlazione con il ritardo mentale -
 Le abilità 
eccezionali - Le componenti 
del linguaggio - Le componenti 
sensomotorie - Le capacità 
cognitive elementari - Le abilità 
visuo-spaziali - Il pensiero 
astratto/concreto - Il pensiero 
analitico/olistico - La 
tolleranza/intolleranza dell'ambiguità - Le componenti 
cognitive della socializzazione - Risultati di una 
ricerca sul profilo cognitivo nell'autismo - Bibliografia 
  
Sin dalle prime osservazioni di Kanner (1943) è stata evidente 
la particolarità cognitiva dell’Autismo. Quello che segue è un tentativo di 
sistematizzazione delle considerazioni presenti in letteratura a questo 
proposito. 
Con il termine profilo cognitivo, in queste pagine si fà 
riferimento all’insieme delle peculiarità nella raccolta e nell’elaborazione 
delle informazioni. Tale concetto è intrinsecamente legato a quello di stile 
cognitivo. Dal precedente capitolo è emerso come la letteratura sullo stile 
cognitivo (e talvolta sugli stili cognitivi) sia contraddittoria e qualora 
alcuni modelli appaiano sovrapponibili non vengono di fatto eseguite delle 
integrazioni unitarie e coerenti. Dei tentativi in questa direzione sono stati, 
d’alto canto, intrapresi (Riding e Sadler-Smith, 1992; McKenny e Keen, 1974 cit. 
in Furnham, 1995; Furnham, 1995). 
Non essendovi uniformità nell’accezione di stile/i 
cognitivio/i, per gli scopi di questo lavoro, si è preferito impiegare una 
terminologia meno specifica. 
Il concetto di profilo cognitivo, in questo contesto, viene 
utilizzato per significare l’insieme delle capacità generali (memoria a breve 
termine, velocità mentale, etc.), delle capacità periferiche (abilità visiva, 
abilità di programmazione motoria, etc.) e, ad un differente livello logico, 
delle particolari modalità di raccolta ed elaborazione delle informazioni (stili 
cognitivi). 
  
La 
correlazione con il ritardo mentale [sommario] 
La relazione tra ritardo 
mentale ed Autismo è stata ed è causa di accesi dibattiti. In passato, una fonte 
di confusione è stata la tendenza a ritenere l’Autismo un disturbo “puro”, ossia 
che non si riscontra in presenza di altre sindromi, quali appunto il ritardo 
mentale. Tager-Flusberg e Baron-Choen ritengono che la categoria di Autismo ad 
alto funzionamento sia usata per distinguere questa forma “pura” di Autismo da 
quella legata al ritardo mentale (Tager-Flusberg e Baron-Choen, 
1993). 
Attualmente è accertata 
l’esistenza di ritardo mentale in circa il 70 % delle persone autistiche 
(Gillberg e Coleman, 1992: 32-33). 
Peeters mette in guardia 
da pericolose semplificazioni relative a questo dato: il rendimento cognitivo di 
persone con Autismo non può essere compreso correttamente se non alla luce delle 
peculiarità del suo profilo cognitivo. In altri termini, Peeters si chiede fino 
a che punto l’apparente ritardo mentale non è conseguenza di una incompresa 
diversità nella raccolta ed elaborazione delle informazioni (Peeters, 1994: 
31-32). 
Andando oltre 
l’informazione sul QI delle persone con Autismo si scopre una interessante 
caratteristica: il rendimento nelle diverse abilità è disomogeneo (mentre le 
persone con ritardo mentale rendono allo stesso livello nelle diverse aree) 
(Peeters, 1994: 32-33). 
In un recente saggio di 
Francesca Happé (1999 cfr. sito A-99) 
viene sottolineato come sia maggiormente produttivo evidenziare le potenzialità 
piuttosto che i limiti delle caratteristiche cognitive delle persone con 
Autismo. 
  
Le 
abilità eccezionali [sommario] 
Alcune persone 
autistiche presentano aree di abilità più sviluppate della norma. L’incidenza 
nell’Autismo di queste abilità eccezionali è del 10%, mentre nella popolazione 
generale è di 1%. Le aree in cui vengono abitualmente espresse le savant 
abilities sono: calcolo, prove di memoria (soprattutto memoria di date e 
calendari), abilità artistiche e musicali (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH). 
Per spiegare il fenomeno 
delle “savant abilities”, Rimland (cit. in Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH) ipotizza una 
straordinaria capacità di focalizzare l’attenzione su una specifica e 
circoscritta area d’interesse. 
In alcuni casi di 
diminuzione dei sintomi autistici si è riscontrato una parallela diminuzione 
nelle isole di abilità. Secondo Temple Grandin (1996 cfr. sito CSA) questo declino potrebbe essere prevenuto 
con un semplice allenamento. 
  
Le 
componenti cognitive del linguaggio [sommario] 
Lo sviluppo del 
linguaggio sembra essere intimamente legato allo sviluppo della teoria della 
mente del bambino: è stato ipotizzato che funzionalmente il linguaggio sia 
espressione, così come lo è la comprensione degli stati mentali altrui, della 
capacità metarappresentativa (Tager-Flusberg, 1993). 
Il linguaggio si 
sviluppa normalmente intorno al nono mese di vita. Non compare però 
improvvisamente: sono stati individuati alcuni atti comunicativi che precedono e 
fondano lo sviluppo della comunicazione verbale. Tager-Flusberg (1993) elenca 
tre comunicazioni intenzionali di tipo prelinguistico: routine sociali (come 
dire ciao o arrivederci), protoimperativi (atti usati per ottenere qualcosa) e 
protodeclarativi (atti usati per indicare un oggetto interessante). Proprio 
quest’ultimo tipo di comportamenti comunicativi sembra essere assente nelle 
persone con Autismo. 
Alcuni Autori leggono 
questo dato attraverso l’ipotesi di deficit nella joint-attention 
(Tager-Flusberg, 1993; Mundy e Kasari, 1993): le persone con Autismo non sono in 
grado di utilizzare uno “scambio triadico”, ossia una relazione a tre fra un 
osservatore interessato, una persona da coinvolgere nell’osservazione e 
l’oggetto dell’attenzione. 
In modo simile, i 
bambini autistici hanno problemi notevoli anche nel seguire lo sguardo di 
un’altra persona, anche quando questo è accompagnato da indicazione. 
E’ stato ipotizzato che 
a fondamento di questa mancanza vi fosse un deficit relativo al contatto 
oculare, oppure connesso con l’indicazione. Quest’ipotesi è stata esclusa 
dall’osservazione di un pressoché normale sviluppo di atti protoimperativi: 
contatto oculare e indicazione sono efficienti quando sono usati per ottenere un 
oggetto desiderato (Mundy et al., 1993). 
Vi sono altri aspetti 
significativi sul joint-attention deficit nell’Autismo. In primo luogo v’è la 
sua alta incidenza rispetto a questa sindrome: 94% per gli autistici 
low-functioning (Mundy et al., 1986 cit. in Mundy et al., 1993). 
Al contempo, è 
importante sottolineare che il joint-attention deficit è modificabile tramite 
opportuni contesti o stimoli sociali. Conseguentemente, gli Autori suggeriscono 
l’importanza di un intervento precoce di questo tipo (Lewy e Dawson, 1991 cit. 
in Mundy et al., 1993). 
Sono state date 
differenti interpretazioni della mancanza di atti protodeclarativi 
nell’Autismo. 
Hobson (1993) ha 
ipotizzato che le anomalie linguistiche delle persone con Autismo siano una 
diretta controparte dei disturbi nella socializzazione. Egli legge pertanto 
questo dato in connessione alle componenti affettive che contraddistinguono 
questa sindrome. Egli ritiene che i disturbi nell’area della comunicazione siano 
causati, nell’Autismo, dall’assenza di una propensione affettiva e relazionale 
verso le persone. In quest’ottica, la mancanza di comportamenti volti ad 
attirare l’attenzione , e più in generale l’assenza di una teoria della mente, 
costituirebbero una conseguenza dello scarso interesse emotivo verso le 
persone. 
Questa interpretazione 
ha ricevuto delle critiche basate sull’osservazione che normalmente i 
comportamenti volti al coinvolgimento dell’attenzione di altre persone è legato 
ad affetti positivi. Di contro, quando tali comportamenti sono messi in atto da 
persone con Autismo, è molto improbabile riscontrare un’affettività positiva, 
mentre nella prevalenza dei casi non si riscontra alcun tipo di affettività 
(Tager-Flusberg, 1993). 
Particolarmente 
significativo è che i comportamenti volti alla joint-attention sono un 
predittore del grado di sviluppo del linguaggio (Lewy e Dawson, 1991 cit. in 
Mundy et al., 1993). E’ inoltre rilevante che l’indicare sia ritenuto da 
Vigotskji (cit. in Hobson, 1993) un presupposto base della maturazione del 
linguaggio. 
Già dalle prime 
osservazioni di Kanner (1943) emerse una peculiarità del linguaggio 
nell’Autismo: l’inversione pronominale. 
All’interno dell’ipotesi 
sulla teoria della mente nell’Autismo, viene offerta una lettura di questo 
fenomeno. In linea con questo modello teorico, le affermazioni fatte dalle 
persone con Autismo sono distorte dalla incomprensione del duplice ruolo di 
parlante/ascoltatore. Da ciò deriva la tendenza a riprodurre le affermazioni del 
colloquiante: “vuoi mangiare?” al posto di “voglio mangiare” (Tager-Flusberg, 
1993). 
Loveland e Tunali 
(1993), a seguito di una rassegna sugli stili narrativi, indicano le principali 
particolarità che ci si può attendere in narrazioni di individui 
autistici: 
a)scarsa comprensione 
dello stato di conoscenze dell’ascoltatore (parlare di cose a lui sconosciute 
come se egli ne fosse al corrente); 
b)mancanza di 
descrizione di pensieri, emozioni e motivazioni dei personaggi; 
c)scarsa attenzione al 
contesto sociale e culturale degli eventi. 
Del linguaggio, ed in 
particolare delle narrazioni, delle persone con Autismo si sono interessati 
anche Bruner e Feldman (1993). Questi Autori attribuiscono alle capacità di 
organizzare strutture narrative un ruolo fondamentale nella genesi delle 
anomalie sociali e relazionali delle persone autistiche sia low- che 
high-functioning. La loro ipotesi è che gli individui affetti da Autismo non 
riescono o non vogliono organizzare le informazioni sul mondo in schemi di 
narrazione, che seppur con diversità, universalmente sono utilizzate per la 
comprensione della realtà sociale (dal sé al riconoscimento delle emozioni 
altrui). 
Nel Disturbo di 
Asperger, differentemente che nell’Autismo tipo Kanner, le abilità verbali sono 
nettamente superiori alle abilità di performance (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH). Anche in questi 
casi, però, il linguaggio ha delle peculiarità significative: è difficile 
conversare, mentre è molto più probabile che lo scambio si trasformi in un 
monologo; si può dialogare prevalentemente su alcuni argomenti cui la persona 
con Autismo è particolarmente interessata (Tager-Flusberg, 1993). 
Per queste persone, 
secondo Bruner e Feldman, l’ipotesi di un disturbo nell’organizzazione narrativa 
degli eventi è ancor più evidente che nell’Autismo “classico”. Le loro abilità 
sono particolarmente significative in aree come problemi aritmetici e problemi 
fondati su ragionamenti causa-effetto; quando si tratta di dar conto degli 
eventi relazionali in contesti sociali, senza il supporto di competenze 
narrative, il risultato previsto è inadeguato o 
bizzarro. 
  
Le 
componenti senso-motorie [sommario] 
Diversi Autori 
sostengono che la “comprensione” si fonda strutturalmente sulla “percezione”: è 
attraverso la raccolta ed elaborazione dei dati percettivi che viene conosciuta 
la realtà (White, 1989; Manning, 1989; Peeters, 1994: 31). 
Stankov et al. (1995), 
riprendendo la teoria di Cattell, sostengono che il rendimento cognitivo dipende 
non solo da intelligenza fluida (Gf) e cristallizzata (Gc), ma anche dalle 
cosiddette ‘provincial capacities’ che implicano le potenzialità 
percettivo-motorie indispensabili all’esecuzione di una prova. 
La constatazione delle 
anormalità sensoriali delle persone autistiche è quindi il presupposto per una 
diversità nello stile cognitivo: “ascoltano, sentono e vedono, ma il loro 
cervello tratta le informazioni diversamente” (Peeters, 1994: 31). 
In particolare Groden e 
Le Vasseur (1999 cfr. sito A-99) 
ritengono che il particolare funzionamento dei canali sensoriali contribuisca in 
modo determinante al quadro della Sindrome Autistica. Suoni, stimoli visivi e 
contatto fisico possono avere effetti paradossali per individui affetti da 
Autismo. 
  
Le 
capacità cognitive elementari [sommario] 
In questa sindrome 
sembrano esservi anche dei problemi strettamente connessi con 
l’attenzione. 
In una recente 
conferenza indetta dalla National Autistic Society britannica, Philip Graves 
(cfr. sito A-99) riporta una serie di 
ricerche da cui si evince che la relazione fra Autismo e deficit dell’attenzione 
è stata trascurata o riportata marginalmente, senza un approfondimento del ruolo 
svolto dal deficit attentivo nell’eziologia e nella patogenesi della Sindrome 
Autistica. 
Grandin cita un 
esperimento da cui risulta che le persone con Autismo hanno una notevole 
difficoltà a spostare l’attenzione tra stimoli uditivi e visivi (Courchesne et 
al., 1989 cit. in Grandin, 1996 cfr. sito CSA). Questo scarso controllo dei processi 
attentivi è probabilmente alla base dei comportamenti stereotipati tipici di 
questa sindrome. 
Murray e Lesser (1999 
cfr. sito A-99) affermano che il computer 
costituisce l’ambiente ideale per promuovere comunicazione, socializzazione e 
creatività nelle persone con Autismo. Infatti, una problematica dell’Autismo è 
di dover fronteggiare diversi stimoli e canali percettivi contemporaneamente: 
l’uso di computer, invece, non richiede spostamenti dell’attenzione. 
La relazione fra 
intelligenza e memoria è stata studiata da molti Autori. In particolare, 
nell’Autismo, sono stati riscontrati dei deficit della memoria per eventi 
recenti (Boucher, 1981 cit. in Gillberg e Coleman, 1992: 31). 
  
Le 
abilità visuo-spaziali [sommario] 
Nelle prove della WISC, 
le persone affette da Autismo, mostrano una serie di notevoli sbalzi fra 
prestazioni ottime e scadenti. Ottengono risultati elevati in prove 
visuo-spaziali, mentre in test associati al linguaggio ed in quelli relativi a 
intuizione/empatia le loro prestazioni sono estremamente basse (Gillberg e 
Coleman, 1992: 31). 
Lovett, (1998 cfr. sito 
SFTAH) riferisce di una 
ricerca da cui risulta che l’informazione visiva sia più facilmente elaborata 
dalle persone autistiche. 
Tale peculiarità prende 
il nome di pensiero visivo, ed è posta in contrapposizione al pensiero verbale, 
che utilizza prevalentemente le parole. 
  
Il 
pensiero astratto/concreto [sommario] 
A parità di Età Mentale, 
rispetto a bambini normali o con ritardo, ottengono migliori risultati nella 
discriminazione concreta. Di contro, nella discriminazione formale, le loro 
performance sono scadenti (Gillberg e Coleman, 1992: 31). 
Questa caratteristica è 
stata anche definita come difficoltà a riassumere le informazioni complesse 
deducendone gli aspetti salienti e le regole che le sottendono. 
A parità di EM, persone 
autistiche e non-autistiche ottenevano analoghi risultati in prove di memoria di 
parole non collegate fra loro: cane, mamma, albero, divano, libro, piatto. Un 
risultato differente era ottenuto con parole collegate fra di loro: mela, uva, 
pompelmo, aereo, bicicletta, automobile (ossia parole appartenenti a due 
categorie).Le persone con Autismo non traggono vantaggio, a differenza dei 
non-autistici, dalla possibilità di organizzare in categorie gli elementi da 
ricordare (Peeters, 1994: 37-39). 
Questo non andare oltre 
le informazioni immagazzinate, individuando regole e ridondanze che le 
sottendono, è alla base del cosiddetto “vivere alla lettera” (Peeters, 1994: 
37-39). 
Anche nel gioco è 
possibile rintracciare questi aspetti del profilo cognitivo nell’Autismo. Nello 
sviluppo del gioco è possibile distinguere tre fasi: g. sensomotorio (basato 
sulla manipolazione, sulla conoscenza percettiva), gioco funzionale (utilizzo 
degli oggetti in base a ciò che per essi viene previsto) e gioco simbolico (un 
oggetto può essere usato per rappresentarne un altro qualsiasi). 
Il gioco dei soggetti 
autistici non raggiunge mai il terzo livello, appunto quello del gioco simbolico 
(Baron-Choen, 1993). 
Una ripercussione di 
questa particolarità sono alcune incomprensioni sociali, in particolare riguardo 
al non-verbale. E’ possibile distinguere gesti strumentali e gesti espressivi: i 
primi sono direttamente connessi con il significato: spingere via una persona 
vuol dire che non se ne gradisce la compagnia. Invece, i gesti espressivi, come 
la pacca sulla spalla, non contengono in sé il significato di cui sono 
portatori, ma sono maggiormente dipendenti dall’apprendimento sociale (Peeters, 
1994: 40-43). 
Inoltre, a questa 
inflessibilità del pensiero si possono collegare altre caratteristiche del 
comportamento autistico come la difficoltà nell’uso di parole relazionali 
(alto/basso, grande/piccolo,etc.) e l’incomprensione delle metafore (Peeters, 
1994: 72-79; Volkmar e Klin, 1993). 
Anche Harris (1993) 
ipotizza l’esistenza di una difficoltà cognitiva nel ragionamento ipotetico, 
soprattutto quando questo va contro i dati immediatamente disponibili: l’assenza 
di gioco simbolico deriverebbe dal non riuscire a fare come se il tavolo fosse 
una tenda, visto che è “così evidente” che esso è un tavolo. 
  
Il 
pensiero analitico/olistico [sommario] 
        Come discusso 
precedentemente, la letteratura concernente lo stile cognitivo propone 
nomenclature distinte per modelli teorici parzialmente sovrapponibili (Furnham, 
1995; Riding e Sadler-Smith, 1992). 
Nel presente lavoro si 
fà riferimento alla definizione dello stile olistico/analitico proposta da 
Riding e Sandler-Smith (1992). A questo stile cognitivo sono però accostabili il 
modello di McKenny e Keen (1974 cit. in Furnham, 1995), la dimensione 
narrow/extensive scanner di Gardner e Long (1962, cit. in Furnham, 1995), la 
distinzione tra strategie algoritmiche/euristiche proposta da Miller, Galanter e 
Pribram (1960 cit. in Shouksmith, 1970: 95-97). 
Una interessante 
analogia è quella proposta da Silverman (1989) tra lo stile olistico/analitico e 
la dipendenza/indipendenza dal campo. Non vi è un completo accordo 
sull’appropriatezza di questo collegamento (Kaplan, 1989). 
La modalità di 
ragionamento comporta l’elaborazione logico-sequenziale delle informazioni. Essa 
è connessa con l’impiego di procedure algoritmiche nella risoluzione dei 
problemi: vengono cioè prese in considerazioni tutte le possibili soluzioni 
prima di scegliere quella da impiegare. L’efficacia di questa strategia si 
contrappone, nei casi più complessi, alla sua efficienza: non sempre è economico 
analizzare tutte le alternative che si hanno a disposizione. 
Differentemente, 
l’elaborazione di tipo olistico delle informazioni, più legata ad una visione 
sintetica e unitaria piuttosto che dettagliata ed analitica, utilizza modalità 
euristiche per la soluzione di problemi: non vengono prese in considerazioni 
tutte le alternative, ma un ristratto numero scelto in base a colleagamenti con 
precedenti esperienze simili. 
Frith (1996 cfr. sito VCAE) 
sostiene che le persone con Autismo utilizzino più agevolmente il pensiero 
olistico. 
  
La 
tolleranza/intolleranza dell’ambiguità [sommario] 
Come è stato 
sottolineato da Furnham (1995), la tolleranza/intolleranza dell’ambiguità, oltre 
ad essere rilevante per lo studio della personalità, ha importanti implicazioni 
sul profilo cognitivo. Difatti, secondo questo Autore, la tolleranza per 
l’ambiguità implica una maggiore disponibilità ad analizzare stimoli e problemi 
nuovi. 
Di contro, 
l’intolleranza per l’ambiguità comporta maggiori difficoltà nell’affrontare 
compiti cui non si è abituati. 
Coerentemente con queste 
osservazioni, una delle note distintive dell’Autismo è la tendenza a preservare 
l’identità degli ambienti e la difficoltà ad affrontarne di nuovi (vedi per 
esempio Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH). 
  
Le 
componenti cognitive della socializzazione [sommario] 
Quello delle competenze 
sociali è senz’altro uno degli ambiti più deficitari all’interno della Sindrome 
Autistica (Wellman, 1993). 
E’ stato constatato che 
con la crescita vi è generalmente un progresso nelle abilità sociali, sebbene la 
vita sociale di queste persone rimane contraddistinta da profonde difficoltà ed 
anormalità relazionali (Volkmar e Klin, 1993). 
Gli individui con 
sindrome di Asperger sono più consapevoli della realtà sociale rispetto a quelli 
con Autismo classico. D’altro canto, i loro comportamenti sono molto spesso 
inappropriati (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH). 
In passato le abilità 
sociali erano ritenute una diretta espressione dell’ EM: le competenze 
relazionali erano in teoria espressione delle abilità cognitive 
generali. 
Attualmente, secondo 
Volkmar e Klin (1993), vi è accordo nel considerare queste abilità relativamente 
indipendenti. 
Merita attenzione anche 
il ruolo che le diversità cognitive giocano nello sviluppo dei disturbi della 
socializzazione (Grandin, 1996 cfr. sito CSA). 
  
Risultati di una ricerca sul profilo cognitivo nell’autismo [sommario] 
Alcuni scritti di 
persone con autismo ad alto funzionamento sono stati analizzati alla luce delle 
ipotesi sino a questo punto delineate. Quella che segue è una sintesi di tale 
studio. 
L’analisi dei testi ha 
mostrato una caratterizzazione particolare del profilo cognitivo delle persone 
con Autismo. 
Le anomale capacità 
cognitive elementari (durata, controllo e spostamento dell’attenzione, capacità 
della memoria a breve termine), insieme ai disturbi percettivo-motori sono 
riconducibili, in una causalità circolare, ad un particolare profilo 
cognitivo. 
 Coerentemente con queste 
caratteristiche, infatti, sono evidenziabili la preferenza per modalità visive 
di raccolta ed elaborazione delle informazioni: il pensiero visivo non richiede 
ampio utilizzo di memoria a breve termine, che risulta indispensabile per il 
pensiero verbale. 
La preferenza per il 
pensiero concreto risulta essere espressione di una difficoltà a generalizzare e 
ad astrarre. Entrambe queste capacità dipendono dalla possibilità di organizzare 
il pensiero in modo sequenziale piuttosto che associativo (tipico del pensiero 
per immagini). 
Inoltre, gli aspetti 
sopra evidenziati sono parte integrante dello stile olistico di raccolta ed 
elaborazione delle informazioni, pure questo correlato con la difficoltà nella 
sequenzialità e con la preferenza per una visione d’insieme. 
L’intolleranza 
dell’ambiguità e le difficoltà nella socializzazione, ad un livello logico 
superiore, potrebbero essere una conseguenza delle difficoltà ad astrarre le 
regole a partire dalle proprie esperienze. 
Di qui la preferenza di 
altre modalità interattive, quali gli scambi di e-mail e l’utilizzo di 
mailing-lists. 
  
Bibliografia [sommario] 
  
  
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      will kein inimich mehr sein. Botschafen aus einem autistischen Kerker. 
      Verlag Kiepenheuer & Witsch, Köln. (1995) Prigioniero di Me Stesso. 
      Bollati Boringhieri. 
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       -Selvini-Palazzoli M., 
      Cirillo S. (1988) I giochi psicotici nella famiglia. Cortina. 
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       -Shattock P. (1997) 
      Trattamenti: Approcci non-ortodossi. Notiziario dell’Osservatorio 
      Autismo della Regione Lombardia. 2 
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       -Soriente C. (1994) 
      L’Autismo e le psicosi infantili: l’approccio psicodinamico e le 
      problematiche relative al contesto familiare ed educativo. Quaderni del 
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       -Tinbergen N. e Tinbergen 
      E.A. (1984) Autismus bei Kindern. Autistic Children. New Hope for a 
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       -Vazquez C. (1994). Brief 
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       -Waterhouse L., Morris R., 
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      Diagnosis and Classification in Autism. Journal of Autism and 
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       -Williams D. (1992) 
      Nobody Nowhere. Donna Williams. Ed. it.(1992) Nessuno in nessun luogo. Ugo 
      Guanda. 
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       -Williams D. (1995) In 
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       -Wing L. (1993) The 
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       -Zappella M. (1990) Piano 
      riabilitativo per bambini con comportamento autistico. Atti del 
      Convegno Scientifico Internazionale Promosso da ANFFAS, ANGSA, FANEP, 
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