IL
PROFILO COGNITIVO DELLE PERSONE AUTISTICHE
Mona A, 1999
|
sommario: - La
correlazione con il ritardo mentale -
Le abilità
eccezionali - Le componenti
del linguaggio - Le componenti
sensomotorie - Le capacità
cognitive elementari - Le abilità
visuo-spaziali - Il pensiero
astratto/concreto - Il pensiero
analitico/olistico - La
tolleranza/intolleranza dell'ambiguità - Le componenti
cognitive della socializzazione - Risultati di una
ricerca sul profilo cognitivo nell'autismo - Bibliografia
Sin dalle prime osservazioni di Kanner (1943) è stata evidente
la particolarità cognitiva dell’Autismo. Quello che segue è un tentativo di
sistematizzazione delle considerazioni presenti in letteratura a questo
proposito.
Con il termine profilo cognitivo, in queste pagine si fà
riferimento all’insieme delle peculiarità nella raccolta e nell’elaborazione
delle informazioni. Tale concetto è intrinsecamente legato a quello di stile
cognitivo. Dal precedente capitolo è emerso come la letteratura sullo stile
cognitivo (e talvolta sugli stili cognitivi) sia contraddittoria e qualora
alcuni modelli appaiano sovrapponibili non vengono di fatto eseguite delle
integrazioni unitarie e coerenti. Dei tentativi in questa direzione sono stati,
d’alto canto, intrapresi (Riding e Sadler-Smith, 1992; McKenny e Keen, 1974 cit.
in Furnham, 1995; Furnham, 1995).
Non essendovi uniformità nell’accezione di stile/i
cognitivio/i, per gli scopi di questo lavoro, si è preferito impiegare una
terminologia meno specifica.
Il concetto di profilo cognitivo, in questo contesto, viene
utilizzato per significare l’insieme delle capacità generali (memoria a breve
termine, velocità mentale, etc.), delle capacità periferiche (abilità visiva,
abilità di programmazione motoria, etc.) e, ad un differente livello logico,
delle particolari modalità di raccolta ed elaborazione delle informazioni (stili
cognitivi).
La
correlazione con il ritardo mentale [sommario]
La relazione tra ritardo
mentale ed Autismo è stata ed è causa di accesi dibattiti. In passato, una fonte
di confusione è stata la tendenza a ritenere l’Autismo un disturbo “puro”, ossia
che non si riscontra in presenza di altre sindromi, quali appunto il ritardo
mentale. Tager-Flusberg e Baron-Choen ritengono che la categoria di Autismo ad
alto funzionamento sia usata per distinguere questa forma “pura” di Autismo da
quella legata al ritardo mentale (Tager-Flusberg e Baron-Choen,
1993).
Attualmente è accertata
l’esistenza di ritardo mentale in circa il 70 % delle persone autistiche
(Gillberg e Coleman, 1992: 32-33).
Peeters mette in guardia
da pericolose semplificazioni relative a questo dato: il rendimento cognitivo di
persone con Autismo non può essere compreso correttamente se non alla luce delle
peculiarità del suo profilo cognitivo. In altri termini, Peeters si chiede fino
a che punto l’apparente ritardo mentale non è conseguenza di una incompresa
diversità nella raccolta ed elaborazione delle informazioni (Peeters, 1994:
31-32).
Andando oltre
l’informazione sul QI delle persone con Autismo si scopre una interessante
caratteristica: il rendimento nelle diverse abilità è disomogeneo (mentre le
persone con ritardo mentale rendono allo stesso livello nelle diverse aree)
(Peeters, 1994: 32-33).
In un recente saggio di
Francesca Happé (1999 cfr. sito A-99)
viene sottolineato come sia maggiormente produttivo evidenziare le potenzialità
piuttosto che i limiti delle caratteristiche cognitive delle persone con
Autismo.
Le
abilità eccezionali [sommario]
Alcune persone
autistiche presentano aree di abilità più sviluppate della norma. L’incidenza
nell’Autismo di queste abilità eccezionali è del 10%, mentre nella popolazione
generale è di 1%. Le aree in cui vengono abitualmente espresse le savant
abilities sono: calcolo, prove di memoria (soprattutto memoria di date e
calendari), abilità artistiche e musicali (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
Per spiegare il fenomeno
delle “savant abilities”, Rimland (cit. in Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH) ipotizza una
straordinaria capacità di focalizzare l’attenzione su una specifica e
circoscritta area d’interesse.
In alcuni casi di
diminuzione dei sintomi autistici si è riscontrato una parallela diminuzione
nelle isole di abilità. Secondo Temple Grandin (1996 cfr. sito CSA) questo declino potrebbe essere prevenuto
con un semplice allenamento.
Le
componenti cognitive del linguaggio [sommario]
Lo sviluppo del
linguaggio sembra essere intimamente legato allo sviluppo della teoria della
mente del bambino: è stato ipotizzato che funzionalmente il linguaggio sia
espressione, così come lo è la comprensione degli stati mentali altrui, della
capacità metarappresentativa (Tager-Flusberg, 1993).
Il linguaggio si
sviluppa normalmente intorno al nono mese di vita. Non compare però
improvvisamente: sono stati individuati alcuni atti comunicativi che precedono e
fondano lo sviluppo della comunicazione verbale. Tager-Flusberg (1993) elenca
tre comunicazioni intenzionali di tipo prelinguistico: routine sociali (come
dire ciao o arrivederci), protoimperativi (atti usati per ottenere qualcosa) e
protodeclarativi (atti usati per indicare un oggetto interessante). Proprio
quest’ultimo tipo di comportamenti comunicativi sembra essere assente nelle
persone con Autismo.
Alcuni Autori leggono
questo dato attraverso l’ipotesi di deficit nella joint-attention
(Tager-Flusberg, 1993; Mundy e Kasari, 1993): le persone con Autismo non sono in
grado di utilizzare uno “scambio triadico”, ossia una relazione a tre fra un
osservatore interessato, una persona da coinvolgere nell’osservazione e
l’oggetto dell’attenzione.
In modo simile, i
bambini autistici hanno problemi notevoli anche nel seguire lo sguardo di
un’altra persona, anche quando questo è accompagnato da indicazione.
E’ stato ipotizzato che
a fondamento di questa mancanza vi fosse un deficit relativo al contatto
oculare, oppure connesso con l’indicazione. Quest’ipotesi è stata esclusa
dall’osservazione di un pressoché normale sviluppo di atti protoimperativi:
contatto oculare e indicazione sono efficienti quando sono usati per ottenere un
oggetto desiderato (Mundy et al., 1993).
Vi sono altri aspetti
significativi sul joint-attention deficit nell’Autismo. In primo luogo v’è la
sua alta incidenza rispetto a questa sindrome: 94% per gli autistici
low-functioning (Mundy et al., 1986 cit. in Mundy et al., 1993).
Al contempo, è
importante sottolineare che il joint-attention deficit è modificabile tramite
opportuni contesti o stimoli sociali. Conseguentemente, gli Autori suggeriscono
l’importanza di un intervento precoce di questo tipo (Lewy e Dawson, 1991 cit.
in Mundy et al., 1993).
Sono state date
differenti interpretazioni della mancanza di atti protodeclarativi
nell’Autismo.
Hobson (1993) ha
ipotizzato che le anomalie linguistiche delle persone con Autismo siano una
diretta controparte dei disturbi nella socializzazione. Egli legge pertanto
questo dato in connessione alle componenti affettive che contraddistinguono
questa sindrome. Egli ritiene che i disturbi nell’area della comunicazione siano
causati, nell’Autismo, dall’assenza di una propensione affettiva e relazionale
verso le persone. In quest’ottica, la mancanza di comportamenti volti ad
attirare l’attenzione , e più in generale l’assenza di una teoria della mente,
costituirebbero una conseguenza dello scarso interesse emotivo verso le
persone.
Questa interpretazione
ha ricevuto delle critiche basate sull’osservazione che normalmente i
comportamenti volti al coinvolgimento dell’attenzione di altre persone è legato
ad affetti positivi. Di contro, quando tali comportamenti sono messi in atto da
persone con Autismo, è molto improbabile riscontrare un’affettività positiva,
mentre nella prevalenza dei casi non si riscontra alcun tipo di affettività
(Tager-Flusberg, 1993).
Particolarmente
significativo è che i comportamenti volti alla joint-attention sono un
predittore del grado di sviluppo del linguaggio (Lewy e Dawson, 1991 cit. in
Mundy et al., 1993). E’ inoltre rilevante che l’indicare sia ritenuto da
Vigotskji (cit. in Hobson, 1993) un presupposto base della maturazione del
linguaggio.
Già dalle prime
osservazioni di Kanner (1943) emerse una peculiarità del linguaggio
nell’Autismo: l’inversione pronominale.
All’interno dell’ipotesi
sulla teoria della mente nell’Autismo, viene offerta una lettura di questo
fenomeno. In linea con questo modello teorico, le affermazioni fatte dalle
persone con Autismo sono distorte dalla incomprensione del duplice ruolo di
parlante/ascoltatore. Da ciò deriva la tendenza a riprodurre le affermazioni del
colloquiante: “vuoi mangiare?” al posto di “voglio mangiare” (Tager-Flusberg,
1993).
Loveland e Tunali
(1993), a seguito di una rassegna sugli stili narrativi, indicano le principali
particolarità che ci si può attendere in narrazioni di individui
autistici:
a)scarsa comprensione
dello stato di conoscenze dell’ascoltatore (parlare di cose a lui sconosciute
come se egli ne fosse al corrente);
b)mancanza di
descrizione di pensieri, emozioni e motivazioni dei personaggi;
c)scarsa attenzione al
contesto sociale e culturale degli eventi.
Del linguaggio, ed in
particolare delle narrazioni, delle persone con Autismo si sono interessati
anche Bruner e Feldman (1993). Questi Autori attribuiscono alle capacità di
organizzare strutture narrative un ruolo fondamentale nella genesi delle
anomalie sociali e relazionali delle persone autistiche sia low- che
high-functioning. La loro ipotesi è che gli individui affetti da Autismo non
riescono o non vogliono organizzare le informazioni sul mondo in schemi di
narrazione, che seppur con diversità, universalmente sono utilizzate per la
comprensione della realtà sociale (dal sé al riconoscimento delle emozioni
altrui).
Nel Disturbo di
Asperger, differentemente che nell’Autismo tipo Kanner, le abilità verbali sono
nettamente superiori alle abilità di performance (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH). Anche in questi
casi, però, il linguaggio ha delle peculiarità significative: è difficile
conversare, mentre è molto più probabile che lo scambio si trasformi in un
monologo; si può dialogare prevalentemente su alcuni argomenti cui la persona
con Autismo è particolarmente interessata (Tager-Flusberg, 1993).
Per queste persone,
secondo Bruner e Feldman, l’ipotesi di un disturbo nell’organizzazione narrativa
degli eventi è ancor più evidente che nell’Autismo “classico”. Le loro abilità
sono particolarmente significative in aree come problemi aritmetici e problemi
fondati su ragionamenti causa-effetto; quando si tratta di dar conto degli
eventi relazionali in contesti sociali, senza il supporto di competenze
narrative, il risultato previsto è inadeguato o
bizzarro.
Le
componenti senso-motorie [sommario]
Diversi Autori
sostengono che la “comprensione” si fonda strutturalmente sulla “percezione”: è
attraverso la raccolta ed elaborazione dei dati percettivi che viene conosciuta
la realtà (White, 1989; Manning, 1989; Peeters, 1994: 31).
Stankov et al. (1995),
riprendendo la teoria di Cattell, sostengono che il rendimento cognitivo dipende
non solo da intelligenza fluida (Gf) e cristallizzata (Gc), ma anche dalle
cosiddette ‘provincial capacities’ che implicano le potenzialità
percettivo-motorie indispensabili all’esecuzione di una prova.
La constatazione delle
anormalità sensoriali delle persone autistiche è quindi il presupposto per una
diversità nello stile cognitivo: “ascoltano, sentono e vedono, ma il loro
cervello tratta le informazioni diversamente” (Peeters, 1994: 31).
In particolare Groden e
Le Vasseur (1999 cfr. sito A-99)
ritengono che il particolare funzionamento dei canali sensoriali contribuisca in
modo determinante al quadro della Sindrome Autistica. Suoni, stimoli visivi e
contatto fisico possono avere effetti paradossali per individui affetti da
Autismo.
Le
capacità cognitive elementari [sommario]
In questa sindrome
sembrano esservi anche dei problemi strettamente connessi con
l’attenzione.
In una recente
conferenza indetta dalla National Autistic Society britannica, Philip Graves
(cfr. sito A-99) riporta una serie di
ricerche da cui si evince che la relazione fra Autismo e deficit dell’attenzione
è stata trascurata o riportata marginalmente, senza un approfondimento del ruolo
svolto dal deficit attentivo nell’eziologia e nella patogenesi della Sindrome
Autistica.
Grandin cita un
esperimento da cui risulta che le persone con Autismo hanno una notevole
difficoltà a spostare l’attenzione tra stimoli uditivi e visivi (Courchesne et
al., 1989 cit. in Grandin, 1996 cfr. sito CSA). Questo scarso controllo dei processi
attentivi è probabilmente alla base dei comportamenti stereotipati tipici di
questa sindrome.
Murray e Lesser (1999
cfr. sito A-99) affermano che il computer
costituisce l’ambiente ideale per promuovere comunicazione, socializzazione e
creatività nelle persone con Autismo. Infatti, una problematica dell’Autismo è
di dover fronteggiare diversi stimoli e canali percettivi contemporaneamente:
l’uso di computer, invece, non richiede spostamenti dell’attenzione.
La relazione fra
intelligenza e memoria è stata studiata da molti Autori. In particolare,
nell’Autismo, sono stati riscontrati dei deficit della memoria per eventi
recenti (Boucher, 1981 cit. in Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Le
abilità visuo-spaziali [sommario]
Nelle prove della WISC,
le persone affette da Autismo, mostrano una serie di notevoli sbalzi fra
prestazioni ottime e scadenti. Ottengono risultati elevati in prove
visuo-spaziali, mentre in test associati al linguaggio ed in quelli relativi a
intuizione/empatia le loro prestazioni sono estremamente basse (Gillberg e
Coleman, 1992: 31).
Lovett, (1998 cfr. sito
SFTAH) riferisce di una
ricerca da cui risulta che l’informazione visiva sia più facilmente elaborata
dalle persone autistiche.
Tale peculiarità prende
il nome di pensiero visivo, ed è posta in contrapposizione al pensiero verbale,
che utilizza prevalentemente le parole.
Il
pensiero astratto/concreto [sommario]
A parità di Età Mentale,
rispetto a bambini normali o con ritardo, ottengono migliori risultati nella
discriminazione concreta. Di contro, nella discriminazione formale, le loro
performance sono scadenti (Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Questa caratteristica è
stata anche definita come difficoltà a riassumere le informazioni complesse
deducendone gli aspetti salienti e le regole che le sottendono.
A parità di EM, persone
autistiche e non-autistiche ottenevano analoghi risultati in prove di memoria di
parole non collegate fra loro: cane, mamma, albero, divano, libro, piatto. Un
risultato differente era ottenuto con parole collegate fra di loro: mela, uva,
pompelmo, aereo, bicicletta, automobile (ossia parole appartenenti a due
categorie).Le persone con Autismo non traggono vantaggio, a differenza dei
non-autistici, dalla possibilità di organizzare in categorie gli elementi da
ricordare (Peeters, 1994: 37-39).
Questo non andare oltre
le informazioni immagazzinate, individuando regole e ridondanze che le
sottendono, è alla base del cosiddetto “vivere alla lettera” (Peeters, 1994:
37-39).
Anche nel gioco è
possibile rintracciare questi aspetti del profilo cognitivo nell’Autismo. Nello
sviluppo del gioco è possibile distinguere tre fasi: g. sensomotorio (basato
sulla manipolazione, sulla conoscenza percettiva), gioco funzionale (utilizzo
degli oggetti in base a ciò che per essi viene previsto) e gioco simbolico (un
oggetto può essere usato per rappresentarne un altro qualsiasi).
Il gioco dei soggetti
autistici non raggiunge mai il terzo livello, appunto quello del gioco simbolico
(Baron-Choen, 1993).
Una ripercussione di
questa particolarità sono alcune incomprensioni sociali, in particolare riguardo
al non-verbale. E’ possibile distinguere gesti strumentali e gesti espressivi: i
primi sono direttamente connessi con il significato: spingere via una persona
vuol dire che non se ne gradisce la compagnia. Invece, i gesti espressivi, come
la pacca sulla spalla, non contengono in sé il significato di cui sono
portatori, ma sono maggiormente dipendenti dall’apprendimento sociale (Peeters,
1994: 40-43).
Inoltre, a questa
inflessibilità del pensiero si possono collegare altre caratteristiche del
comportamento autistico come la difficoltà nell’uso di parole relazionali
(alto/basso, grande/piccolo,etc.) e l’incomprensione delle metafore (Peeters,
1994: 72-79; Volkmar e Klin, 1993).
Anche Harris (1993)
ipotizza l’esistenza di una difficoltà cognitiva nel ragionamento ipotetico,
soprattutto quando questo va contro i dati immediatamente disponibili: l’assenza
di gioco simbolico deriverebbe dal non riuscire a fare come se il tavolo fosse
una tenda, visto che è “così evidente” che esso è un tavolo.
Il
pensiero analitico/olistico [sommario]
Come discusso
precedentemente, la letteratura concernente lo stile cognitivo propone
nomenclature distinte per modelli teorici parzialmente sovrapponibili (Furnham,
1995; Riding e Sadler-Smith, 1992).
Nel presente lavoro si
fà riferimento alla definizione dello stile olistico/analitico proposta da
Riding e Sandler-Smith (1992). A questo stile cognitivo sono però accostabili il
modello di McKenny e Keen (1974 cit. in Furnham, 1995), la dimensione
narrow/extensive scanner di Gardner e Long (1962, cit. in Furnham, 1995), la
distinzione tra strategie algoritmiche/euristiche proposta da Miller, Galanter e
Pribram (1960 cit. in Shouksmith, 1970: 95-97).
Una interessante
analogia è quella proposta da Silverman (1989) tra lo stile olistico/analitico e
la dipendenza/indipendenza dal campo. Non vi è un completo accordo
sull’appropriatezza di questo collegamento (Kaplan, 1989).
La modalità di
ragionamento comporta l’elaborazione logico-sequenziale delle informazioni. Essa
è connessa con l’impiego di procedure algoritmiche nella risoluzione dei
problemi: vengono cioè prese in considerazioni tutte le possibili soluzioni
prima di scegliere quella da impiegare. L’efficacia di questa strategia si
contrappone, nei casi più complessi, alla sua efficienza: non sempre è economico
analizzare tutte le alternative che si hanno a disposizione.
Differentemente,
l’elaborazione di tipo olistico delle informazioni, più legata ad una visione
sintetica e unitaria piuttosto che dettagliata ed analitica, utilizza modalità
euristiche per la soluzione di problemi: non vengono prese in considerazioni
tutte le alternative, ma un ristratto numero scelto in base a colleagamenti con
precedenti esperienze simili.
Frith (1996 cfr. sito VCAE)
sostiene che le persone con Autismo utilizzino più agevolmente il pensiero
olistico.
La
tolleranza/intolleranza dell’ambiguità [sommario]
Come è stato
sottolineato da Furnham (1995), la tolleranza/intolleranza dell’ambiguità, oltre
ad essere rilevante per lo studio della personalità, ha importanti implicazioni
sul profilo cognitivo. Difatti, secondo questo Autore, la tolleranza per
l’ambiguità implica una maggiore disponibilità ad analizzare stimoli e problemi
nuovi.
Di contro,
l’intolleranza per l’ambiguità comporta maggiori difficoltà nell’affrontare
compiti cui non si è abituati.
Coerentemente con queste
osservazioni, una delle note distintive dell’Autismo è la tendenza a preservare
l’identità degli ambienti e la difficoltà ad affrontarne di nuovi (vedi per
esempio Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
Le
componenti cognitive della socializzazione [sommario]
Quello delle competenze
sociali è senz’altro uno degli ambiti più deficitari all’interno della Sindrome
Autistica (Wellman, 1993).
E’ stato constatato che
con la crescita vi è generalmente un progresso nelle abilità sociali, sebbene la
vita sociale di queste persone rimane contraddistinta da profonde difficoltà ed
anormalità relazionali (Volkmar e Klin, 1993).
Gli individui con
sindrome di Asperger sono più consapevoli della realtà sociale rispetto a quelli
con Autismo classico. D’altro canto, i loro comportamenti sono molto spesso
inappropriati (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
In passato le abilità
sociali erano ritenute una diretta espressione dell’ EM: le competenze
relazionali erano in teoria espressione delle abilità cognitive
generali.
Attualmente, secondo
Volkmar e Klin (1993), vi è accordo nel considerare queste abilità relativamente
indipendenti.
Merita attenzione anche
il ruolo che le diversità cognitive giocano nello sviluppo dei disturbi della
socializzazione (Grandin, 1996 cfr. sito CSA).
Risultati di una ricerca sul profilo cognitivo nell’autismo [sommario]
Alcuni scritti di
persone con autismo ad alto funzionamento sono stati analizzati alla luce delle
ipotesi sino a questo punto delineate. Quella che segue è una sintesi di tale
studio.
L’analisi dei testi ha
mostrato una caratterizzazione particolare del profilo cognitivo delle persone
con Autismo.
Le anomale capacità
cognitive elementari (durata, controllo e spostamento dell’attenzione, capacità
della memoria a breve termine), insieme ai disturbi percettivo-motori sono
riconducibili, in una causalità circolare, ad un particolare profilo
cognitivo.
Coerentemente con queste
caratteristiche, infatti, sono evidenziabili la preferenza per modalità visive
di raccolta ed elaborazione delle informazioni: il pensiero visivo non richiede
ampio utilizzo di memoria a breve termine, che risulta indispensabile per il
pensiero verbale.
La preferenza per il
pensiero concreto risulta essere espressione di una difficoltà a generalizzare e
ad astrarre. Entrambe queste capacità dipendono dalla possibilità di organizzare
il pensiero in modo sequenziale piuttosto che associativo (tipico del pensiero
per immagini).
Inoltre, gli aspetti
sopra evidenziati sono parte integrante dello stile olistico di raccolta ed
elaborazione delle informazioni, pure questo correlato con la difficoltà nella
sequenzialità e con la preferenza per una visione d’insieme.
L’intolleranza
dell’ambiguità e le difficoltà nella socializzazione, ad un livello logico
superiore, potrebbero essere una conseguenza delle difficoltà ad astrarre le
regole a partire dalle proprie esperienze.
Di qui la preferenza di
altre modalità interattive, quali gli scambi di e-mail e l’utilizzo di
mailing-lists.
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